PSICOLOGIA LGBTQ+

a Brescia e Milano

Servizi di psicologia LGBTQ+ a Brescia e Milano

La “Psicologia LGBT” è una “branca della psicologia affermativa delle persone LGBTQ che sfida pregiudizio e discriminazione, promuove le loro peculiari tematiche a focus legittimo della disciplina psicologica, promuove approcci inclusivi e propone un range di prospettive sulle vite e sulle esperienze delle persone LGBTQ” (Clarke et al, 2010).

La maggior parte delle persone LGBTQ+, come ogni altra, si affida a un* professionista per questioni che nulla hanno a che vedere con la propria sessualità. In questi casi sono frequenti due errori clinici:

  • la sovrastima della sessualità, ovvero, il presupposto che una parte delle difficoltà siano da attribuire alla sessualità o all’identità, anche quando questo non è il caso, e la sua elezione da parte del* terapeuta a topic del percorso nonostante non sia percepito come tale dall’individuo;
  • la sottostima della sessualità, ovvero, il presupposto ingenuo secondo cui l’esperienza di una persona che appartiene a una minoranza non debba essere significata anche alla luce di un contesto socio-culturale caratterizzato da aspetti etero-normativi e cis-normativiNon tenere in debito conto le sfide che pone ogni giorno vivere in una società eteronormativa è un mancato riconoscimento della storia della persona che ci siede di fronte, e della sofferenza che può derivarne. 

Inoltre, alcune esperienze sono tipiche e peculiari della comunità LGBTQ+: è importante che la persona possa affidarsi a un* professionista che sappia rispondere efficacemente a domande che le riguardano senza doverl* educare. Confondere equità e valore umano con l’essere uguali è fonte di errori clinici importanti: ogni identità ha lo stesso valore e la stessa legittimità, ma anche ha le sue peculiarità, che vanno conosciute e valorizzate per svolgere un lavoro competente.

Cornici di riferimento per l’intervento

L’espressione Gender, Sex and Relationship Diversity (GSRD) è utilizzata da molti anni da Pink Therapy UK per indicare un’espansione del più tradizionale acronimo LGBTQ+, che non risulta inclusivo di alcuni gruppi marginalizzati (Barker, 2017; Davies, 2021).

Le descrizioni riportate di seguito sono state indicate da Dominic Davies e si riferiscono alla nostra attuale comprensione di identità, relazioni e pratiche consensuali marginalizzate, e non intendono essere esclusive. Probabilmente continueranno a cambiare con lo sviluppo della nostra comprensione dell’approccio biopsicosociale a genere/sesso e relazioni.

G

Con Genere, includiamo le persone che nello spettro di genere possono identificarsi come trans, agender, bi-gender, crossdresser, genderqueer, gender fluid, non binarie e con configurazioni di genere escluse dalle categorie coloniali (Prime Nazioni / Indigene).

S

Ricorriamo a due diversi utilizzi della parola Sesso: Sesso come Sessualità, orientamenti/identità sessuali: lesbiche, gay, bi e pan-sessuali, coloro che sono nello spettro asessuale, coloro che scelgono di astenersi dal sesso, e coloro che si identificano/praticano BDSM/Kink e Fetish.

Sesso è inoltre utilizzato per indicare: sesso biologico, includendo le persone intersex e quelle nate con caratteristiche sessuali (genitali, gonadi e cromosomi) che non rientrano nelle tipiche nozioni binarie di corpi maschili o femminili.

R

In Relazioni: includiamo le persone nello spettro aromantico (aro), quelle in relazioni BDSM/Kink in cui c’è uno scambio di potere, relazioni che prevedono sex work, persone in relazioni con più partner (swinger, non-monogame, poliamorose etc.) così come relazioni intime di matrice monogama.

Associato a un punto di vista fenomenologico, questa visione permette di considerare la sessualità e la relazionalità come fenomeni ampi e complessi, in cui i modi di essere nel mondo e con l’Altro sono dimensioni ampie, fluide e naturali. Questo permette di includere e valorizzare tutte le sfumature identitarie, affettive, relazionali e sessuali. Significa considerare i modi di emozionarsi di ogni singola persona come unici, irripetibili, e ugualmente validi, degni di attenzione e rispetto, riconoscendo e valorizzando le differenze. L’assunzione di un’etichetta identitaria è un momento definente e terapeutico per molte persone, e come tale va inteso e perseguito nell’attività clinica. Nell’approccio clinico e scientifico, tuttavia, una netta divisione tra categorie può risultare problematica: impedisce di considerare l’intersezionalità tra diverse appartenenze, esclude alcune realtà (ad esempio, poliamore o kink) e porta a pensare che criticità rispetto a genere, sessualità e relazionalità si verifichino solo in una minoranza di persone (quelle cosiddette “LGBTQ+”). Invece, questi temi riguardano chiunque: la sessualità è una modalità basica e preriflessiva, l’elemento fondamentale dell’incontro e dell’intersoggettività.  E’ una componente relazionale dell’esistenza, che risponde a sè, al mondo, e all’altro.

Dal punto di vista teorico, la psicoterapia affermativa parte dal presupposto che i comportamenti, le identità, le attrazioni e le espressioni sessuali sono descritte ed espresse in molti modi. Non sottende un obiettivo a priori, ma è supportiva della crescita della persona e le permette di determinare: i ruoli pubblici e privati, i modi di agire la propria sessualità, i modi di descriverla e quelli di condividerla. Si tratta di creare uno spazio di esperienza, di permettere alla persona di stare anche nell’incertezza delle diverse possibilità, e la accompagna nella ricerca della propria autenticità, senza arrogarsi il diritto di sapere chi è, come si deve descrivere e posizionare, o quale sarà lo step ultimo del percorso. In questo senso, anche incertezze, cambi di direzione e tempi personali sono legittimi, e non tolgono alcuna validità all’identità e all’esperienza.
Tra i principi di psicoterapia affermativa rientrano: il  rispetto del diritto di autodeterminazione della persona; l’autoconsapevolezza del* terapeuta sui propri bias; la costruzione di un contesto e di un setting inclusivo, accogliente e rispettoso delle differenze e delle diversità umane, e il principio di advocacy, ovvero il riconoscere il contesto di discriminazione e stigma in cui vivono le persone che appartengono a una minoranza, condannarlo apertamente, e controbilanciarlo attivamente e in modo attivo tramite un ruolo di allyship concreto. 

Questo comporta approcciare il lavoro clinico secondo i principi di   umiltà culturale e competenza culturale.

Competenza culturale significa riconoscere che:

  • le minoranze sessuali sono minoranze culturali, ovvero, hanno delle reti coerenti di rimandi proprie, entro cui ci sono significati condivisi che non sono necessariamente sovrapponibili a quelli della rete coerente di rimandi allargata.
  • ci sono temi, esperienze e  domande che le persone che appartengono a una minoranza portano in terapia e che solitamente non vengono portati da persone di altre appartenenza, che richiedono un expertise specifico. La persona non è tenuta a educare il/la terapeuta!

Umiltà culturale significa riconoscere che la persona è esperta della propria vita e della propria appartenenza, e che nonostante qualcuno possa essere competente rispetto a una cultura, il modo in cui questa viene vissuta e incarnata da coloro che vi appartengono è unico e individuale. Questo comporta riesaminare continuamente la propria posizione, i propri bias e le proprie posizioni di privilegio sociale, e riconoscere l’autorità e la competenza della persona sulla propria esperienza e sulla propria esistenza.

Secondo un approccio intersezionale (Crenshaw, 1989), le identità non posso essere inquadrate in modo additivo, ma piuttosto comprese come un complesso set di interazioni che si costituiscono mutualmente in relazione alle norme sociali prevalenti. La consapevolezza della propria posizione intersezionale e di quella del cliente consente di interrogarsi sulle differenze di autorità e potere che intervengono nelle pratiche sociali e sanitarie, riconoscendo come molteplici appartenenze identitarie contribuiscono a rendere conto delle esperienze vissute della persona che chiede la consulenza e, laddove siano minoritarie, crea pattern di rischio specifici.

Nella pratica questo significa sviluppare una conoscenza interdisciplinare delle determinanti sociali della salute mentale e delle disuguaglianze esperite da alcune categorie; riconoscere come queste vengono mantenute o migliorate da dinamiche personali e gruppali; e strutturare interventi che tengano in considerazione i fattori sistemici di oppressione e rischio. 

Perché affidarsi a un* professionista con competenze specifiche?

  • È nota in letteratura l’esistenza di disuguaglianze di salute a carico della popolazione LGBTQ+, tra cui: accesso difficoltoso/negato a percorsi di cura (medica e/o psicologica), non adeguatezza dei servizi ricevuti, mancata ricezione dei bisogni specifici, maggiore incidenza di problematiche di salute (European Union Agency for Fundamental Rights, 2016). Questo accade per mancanza di formazione da parte del* professionista sanitario, per impreparazione dei servizi, per velata o aperta discriminazione, o per l’aspettativa di discriminazione da parte dell’utente, che evita l’accesso alimentando un circolo vizioso. La consulenza psicologica è uno spazio personale di libertà: indipendentemente dal motivo per cui viene richiesta, devi poterti sentire liber* di raccontarti secondo identità e autenticità, senza timore del giudizio o dello stigma, e senza dover educare il/la professionista in merito alle tue modalità relazionali o affettive. Ecco perché una formazione specifica sul tema è imprescindibile. Per questo stesso motivo, svolgo corsi di formazione e interventi informativi, sia con i potenziali utenti dei servizi, sia con i professionisti sanitari  che sono chiamati a fornire un’assistenza più consapevole, priva di stereotipi e pregiudizi. Anche la semplice richiesta di informazioni, curiosità, chiarimento rispetto a dubbi e timori, deve poter incontrare una risposta competente, aggiornata, puntuale;
  • Esistono tematiche peculiari, solitamente ignorate dalla psicologia generale, che riguardano la popolazione LGBTQ+ e GSRD. Ad esempio: coming out, invisibilità sociale di persone bi/omni/pansessuali e non binarie, outness mismatch, difficoltà di adeguamento del contesto a una transizione di genere, same-sex intimate partner violence, differenze nella gestione del ruolo di genere in coppie omoaffettive, sessualità tra partner di genere uguale o in coppie in cui uno dei partner è asessuale o sta svolgendo un percorso affermativo di genere, kink mismatch, rinegoziazione di contratti in non monogamie etiche, isolamento in contesti sociali non accettanti, ecc… Naturalmente, queste tematiche non sono necessariamente presenti in tutte le persone ne tantomeno sono inevitabili fonte di sofferenza: le storie di vita sono uniche e irripetibili, così come i significati personali associati a eventi tra loro simili. E’ importante però avere competenza di queste specifiche domande. Questo va inserito in un approccio che riconosca che le categorie ci offrono degli universali, ma è necessario andare oltre e cogliere l’esperienza del singolo, che emerge nella sua narrativa, e si gioca sempre entro un contesto storico-culturale di appartenenza (rete coerente di rimandi) attraverso un corpo-che-siamo. Solo in questa intersezione è possibile cogliere l’identità (anche sessuale). 

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