APPROCCIO TERAPEUTICO
Come lavoro e come posso aiutarti
Come opero e come posso aiutarti
Opero nel rispetto dei principi etici e deontologici della professione psicologica e della psicoterapia affermativa, secondo l’approccio teorico-pratico della Psicoterapia Cognitivo Neuropsicologica (PCN). Sullo sfondo, una modalità di comprendere le sfumature identitarie, affettive e relazionali secondo il modello GSRD (Gender, Sex and Relationship Diversity).
Cornici di riferimento
La Psicoterapia Cognitiva Neuropsicologica si basa sui più recenti sviluppi neuroscientifici. Alla base, la ferma convinzione che sia necessario ed etico operare sulla base di un modello scientificamente fondato, ma anche che sia imprescindibile considerare il soggetto come un “Chi”, unico e irripetibile, irriducibile a una categoria. La conseguenza è che l* psicoterapeuta si trova ogni volta di fronte a una persona la cui sofferenza risulta comprensibile soltanto a partire dalla sua specifica storia di vita: la terapia si fonda su quello che rende quella persona esattamente sé stessa, diversa da tutte le altre, invece che trattarla in modo standardizzato e impersonale sulla base di un’etichetta (“depresso”, “ansioso”, ecc…). Questo comporta un’esperienza clinica e relazionale attiva, responsabilizzante, personalizzata: con ogni paziente concordo obiettivi e tempistiche su misura. L’obiettivo ultimo è la trasformazione di Sé, ossia il cambiamento dei modi di fare esperienza, sempre orientato al futuro.
L’uomo è fatto di tempo, è un aver-da-essere sempre orientato verso il domani; non siamo mai figli del nostro passato in modo deterministico e causale. C’è sempre una possibilità di essere altrimenti, un orizzonte d’attesa a cui tendere. La psicoterapia è funzionale a trovare il modo di raggiungere i tuoi obiettivi, senza limitarsi a facili giustificazioni deterministiche che chiudono la porta al cambiamento e al miglioramento della vita. Anche le più recenti ricerche scientifiche sul Mental Time Travel (ad es: Beaty et al, 2019; Klein, 2016; Michaelian, Klein, & Szpunar, 2016) sembrano confermare questo fatto: le persone più ottimiste e felici siano sono orientate al domani e pensano più spesso al futuro di quelle depresse, che parlano costantemente del proprio passato. La psicoterapia deve allora essere finalizzata a stare meglio da oggi, sempre in vista di un domani migliore, secondo le proprie risorse e personalissime inclinazioni.
Questo comporta approcciare il lavoro clinico secondo i principi di umiltà culturale e competenza culturale (APA, 2021).
Competenza culturale significa riconoscere che:
- le minoranze sessuali sono minoranze culturali, ovvero, hanno delle reti coerenti di rimandi proprie, entro cui ci sono significati condivisi che non sono necessariamente sovrapponibili a quelli della rete coerente di rimandi allargata.
- ci sono temi, esperienze e domande che le persone che appartengono a una minoranza portano in terapia e che solitamente non vengono portati da persone di altre appartenenza, che richiedono un expertise specifico. La persona non è tenuta a educare il/la terapeuta!
Umiltà culturale significa riconoscere che la persona è esperta della propria vita e della propria appartenenza, e che nonostante qualcuno possa essere competente rispetto a una cultura, il modo in cui questa viene vissuta e incarnata da coloro che vi appartengono è unico e individuale. Questo comporta riesaminare continuamente la propria posizione, i propri bias e le proprie posizioni di privilegio sociale, e riconoscere l’autorità e la competenza della persona sulla propria esperienza e sulla propria esistenza.
Le modalità del percorso psicoterapeutico
A seconda dell’approccio teorico-clinico e del singolo terapeuta è possibile affrontare il percorso psicoterapeutico secondo molteplici modalità. Ecco cosa può aspettarsi una persona che mi contatta per una psicoterapia.
Lo scopo è accogliere e identificare la problematica, individuando i motivi della sofferenza nella storia di vita della persona. Questo è possibile mediante una strategia ermeneutica che porta alla luce eventuali modalità mancate o disidentitarie di configurazione dell’esperienza nella trama narrativa. Come? Utilizzo una tecnica chiamata “ciclo-testo-contesto”: ripercorrendo con la persona la storia di vita guidato dal topic sintomo/sofferenza/domanda, individuo le modalità di mantenimento del senso di stabilità personale e i momenti in cui origina la frattura identitaria che causa la patologia, lasciando che emergano i significati esistenziali che la rendono comprensibile, e quindi, risolvibile. La differenza rispetto ad altre modalità di lavoro terapeutico consiste nel fatto che non applico una teoria preconfezionata alla vita del paziente, cercando di piegarne gli avvenimenti e i sintomi per poter produrre un’etichetta diagnostica; il senso della sofferenza è dato dai fatti e dalle esperienze vissute, e viene quindi confermato/disconfermato dalla vita stessa della persona! Il primo colloquio esita in un’operazione chiamata rifigurazione, che ha lo scopo di produrre una rinnovata comprensione di sé e una iniziale appropriazione di senso, cui segue necessariamente un principio di trasformazione di sé alla luce di nuove possibilità di azione. Ovvero, alla fine del primo colloquio la persona deve poter esperire la possibilità di essere altrimenti, attraverso l’apertura di orizzonti d’attesa maggiormente identitari. Il colloquio si conclude con la proposta, nei casi in cui sia appropriata, di una psicoterapia, che viene concordata nei modi, tempi, obiettivi e risultati attesi.
La psicoterapia avviene tramite l’utilizzo di numerose tecniche e strumenti; uno di essi è sicuramente il diario, che viene prescritto tramite una consegna personalizzata, al fine di indagare l’esperienza quotidiana della persona su cui lavorare durante le sedute. I topic della terapia sono i topic della persona, e sono quindi personali e unici. Ogni seduta si apre, quindi, con la lettura degli accadimenti settimanali, che insieme contestualizziamo in senso storico (cioè in relazione alla peculiare relazione tra spazio di esperienza e orizzonte d’attesa che rende intellegibile il racconto). In questo modo emergono le modalità di emozionarsi e mantenere il senso di stabilità personale, e sono possibili le operazioni di rifigurazione che introducendo un nuovo significato consentono di significare diversamente l’esperienza, rendono il racconto identitario, consentono la progettazione di sé secondo modalità coerenti e autentiche e il perseguimento di quegli orizzonti d’attesa aperti alla fine del primo colloquio – e di tutti quelli che si aprono nelle successive sedute. Le fratture identitarie che originano la sintomatologia vengono ricomposte.
Andrea mi contatta a seguito di crisi d’ansia insorte circa 5 settimane prima, e sfociate in 2 attacchi di panico che lo hanno spaventato molto. Il medico di base gli ha consigliato di rivolgersi a uno psicoterapeuta dopo che le indagini svolte hanno escluso cause organiche alla base della sintomatologia (tachicardia, sudorazione aumentata, palpitazioni, dispnea, sensazione di morire). Nel corso del primo colloquio indago Chi è Andrea, attraverso l’analisi del Macrocontesto Esistenziale (necessario per declinare il testo del racconto nella specificità della persona di Andrea, unica e irripetibile) ed esploro gli episodi degli attacchi di panico, andando a ritroso fino all’esordio sintomatologico. Andrea non sa spiegare le cause del suo stare male e lo attribuisce genericamente a un “periodo di particolare stress sul lavoro”. Quando indago altri periodi di uguale stress, che non hanno portato a nessuna crisi d’ansia, Andrea non sa dare una spiegazione della differenza. Concordiamo rispetto al fatto che il motivo trovato da Andrea per spiegare il suo stare male non regge la prova della storia di vita, ed è quindi inadeguato a significare la sintomatologia. Attraverso la tecnica del ciclo-testo-contesto emerge una importante, radicale diminuzione delle possibilità di azione di Andrea, che non viene da lui colta fino a quando non viene messa a tema insieme: poche settimane prima la collega con cui condivide l’ufficio prende un indefinito periodo di aspettativa per una grave malattia, rendendolo di fatto indispensabile per l’azienda in cui lavora. Questo comporta, per Andrea, un crollo della progettualità: non potrà essere promosso a un impiego migliore fino a quando la collega non rientrerà sul lavoro, e fino a che non avrà un aumento di stipendio, non potrà proseguire nel suo progetto di creare una famiglia. Infatti proseguendo nel colloquio emergono dalla storia di vita di Andrea modalità di mantenimento di sé alla luce di un ruolo (lavorativo e familiare) importante; la situazione attuale quindi concorre a delineare un quadro di riduzione drastica delle possibilità di azione e di crollo di un orizzonte di attesa fondamentale al mantenimento della stabilità personale. La rifigurazione della sintomatologia ansiosa in questa direzione, anziché come causata da “stress lavorativo”, permette un primo riposizionamento: Andrea non coglie l’esperienza di costrizione esistenziale fino a quando non viene guidato dalle mie domande, ma non appena propongo la nuova lettura, la ri-conosce immediatamente – confermandola. Spiego ad Andrea la correlazione tra la riduzione delle possibilità esistenziali e l’ipersensibilità corporea che porta all’esperienza di costrizione (sia fisica che esistenziale!) da cui nasce la sintomatologia. Andrea decide di cominciare una psicoterapia. Gli obiettivi della psicoterapia sono: la riduzione della sintomatologia (tramite l’utilizzo del diario), l’apertura di ulteriori fonti di co-percezione al di là del ruolo lavorativo (ad es, il ruolo di padre, da sempre desiderato) e l’apertura di orizzonti di attesa identitari (sposare la compagna Elena e costruire una famiglia). I topic importanti sono stati quello del “dovere” e quello della “mascolinità”, per lui fortemente associati al ruolo lavorativo. Dopo due mesi e mezzo di colloqui settimanali la sintomatologia è drasticamente ridotta; dopo cinque mesi i colloqui diventano quindicinali; a dieci mesi sono conclusi.