La necessità di utilizzare un sistema nosografico-descrittivo per la classificazione dei disturbi sessuali è legata alla necessità di trovare linguaggio e criteri comuni di descrizione univoca delle differenti problematiche; nel campo sessuologico, in cui le difficoltà sono estremamente eterogenee e in cui collaborano diversi professionisti sulla base di un approccio biopsicosociale, questo passaggio diviene spesso fondamentale.

I principali e più recenti modelli di classificazione dei disturbi sessuali sono:

– Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), attualmente alla quinta edizione, edita nel 2013. E’ una classificazione categoriale, ateoretica, orientata al sintomo, con criteri di inclusione ed esclusione rigidi e ben definiti;

– l’International Classification of Diseases (ICD), prodotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e giunto alla undicesima versione. Contempla le patologie organiche e mentali secondo una classificazione dimensionale;

Classificazioni, linee guida e documenti di consenso internazionale prodotti dalle maggiori società scientifiche sulla base dell’evidence-based medicine, su criteri clinici e di expert opinion (ad es: Fourth International Consultation for Sexual Medicine, organizzata da International Society for Sexual Medicine).

Il DSM-5 include in tutto 8 diagnosi relative ai disturbi sessuali specifiche e 2 aspecifiche (“Altra disfunzione sessuale specificata”, e “Disfunzione sessuale non specificata”):

  • Disturbo dell’interesse sessuale/eccitazione femminile;
  • Disturbo dell’orgasmo femminile;
  • Disturbo da dolore genito-pelvico e da penetrazione;
  • Disturbo da desiderio sessuale ipoattivo maschile;
  • Disfunzione erettile;
  • Eiaculazione precoce;
  • Eiaculazione ritardata;
  • Disfunzione sessuale indotta da farmaco o sostanza.

Da questa classificazione restano escluse la categorie di “Disfunzione sessuale causata da una condizione medica generale”, a causa dell’introduzione di uno specificatore che rende impossibile la diagnosi in presenza di un problema organico (APA, 2013), e la categoria di “Disturbo da avversione sessuale”, epidemiologicamente poco rappresentata (Nimbi & Tripodi, 2019). Molte delle persone che potevano precedentemente essere diagnosticate secondo tale categoria ricevono oggi diagnosi legate allo spettro dei disturbi d’ansia (ad es, fobie).

Ogni disturbo può essere classificato secondo differenti sottotipi:

  • Permanente (presente dall’inizio dell’attività sessuale);
  • Acquisito (insorto a un certo punto della vita sessuale);
  • Generalizzato (presente indipendentemente dal contesto e dal partner);
  • Situazionale (presente solo in alcuni contesti e/o con alcuni partner);
  • Lieve, Moderato o Severo secondo il livello di gravità sintomatologica.

Rispetto alla versione precedente, il DSM-5 risulta inclusivo delle persone prive di partner (criterio C: considerazione del disagio personale anziché delle “difficoltà interpersonali” citate nel DSM-IV TR) e specifica criteri di durata e frequenza per la maggior parte delle difficoltà: il criterio A (la presenza dei sintomi specifici del disturbo) deve essere soddisfatto per almeno sei mesi (criterio B) e la maggior parte dei sintomi deve presentarsi nel 75%-100% degli episodi sessuali (APA, 2013). La logica implicazione di questa scelta da parte di APA è l’esclusione di tutte quelle difficoltà sessuali situazionali o transitorie (Nimbi & Tripodi, 2019). Per poter porre diagnosi il disturbo non deve essere meglio spiegato da problematiche mentali non sessuali, situazioni di particolare stress, disagi relazionali, problematiche organiche o effetti di farmaci/di sostanze (APA, 2013).

Una delle principali modifiche dal punto di vista del razionale concettuale riguarda però la modalità con la quale il Manuale inquadra la risposta sessuale maschile e femminile, considerate distinte e specifiche: per gli uomini viene utilizzato il modello pulsionale lineare di Masters & Johnson e Kaplan (Nimbi & Tripodi, 2019), per le donne il modello incentivo-motivazionale della risposta sessuale (Brotto, 2010). Quest’ultimo concettualizza il desiderio e l’eccitazione come strettamente interconnessi; il risultato di tale assunzione è una modifica sostanziale nelle categorie diagnostiche dei disturbi femminili da DSM IV-TR a DSM 5, che ha causato numerose critiche. Si assiste infatti all’unione delle problematiche relative a desiderio (“Disturbo da desiderio ipoattivo”) e eccitazione (“Disturbo dell’eccitazione sessuale femminile”) in un’unica categoria: “Disturbo dell’interesse sessuale/eccitazione femminile (DIS/EF)”, sulla scia di evidenze scientifiche che avrebbero definito la distinzione “artificiale” (Graham, 2010). Le critiche derivano dall’esistenza di evidenze cliniche e scientifiche secondo le quali le difficoltà di desiderio ed eccitazione potrebbero invece manifestarsi separatamente (ad es, McCabe et al, 2016); in questo senso, la nuova categoria diagnostica escluderebbe un numero importante di casi. Le raccomandazioni delle società cliniche internazionali suggeriscono quindi l’utilizzo dei criteri della precedente edizione (Kingsberg et al, 2017; Parish e Hahn, 2016).  L’ICD-11 sceglie di mantenere la differenziazione, utilizzando le categorie di “Desiderio Sessuale Ipoattivo” e “Disfunzione dell’eccitazione sessuale femminile” (WHO, 2019). Tutte le classificazioni si muovono, come è evidente, entro una modalità categoria binaria di intendere il genere.

Un’altra importante modifica rispetto al DSM IV-TR riguarda l’introduzione del Disturbo da Dolore Genito-Pelvico e da Penetrazione (DDGPP), che unisce le precedenti etichette di vaginismo e disapareunia sulla base di una sovrapposizione sintomatologica importante e della scelta di porre l’accento sull’esperienza di dolore (Nimbi & Tripodi, 2019). Nonostante questo, nella pratica clinica si fa spesso ancora riferimento alla precedente classificazione, poiché quella attuale è giudicata da molti professionisti confusiva e aspecifica (Fabrizi et al, 2019).

  • Brotto, LA. (2010). The DSM diagnostic criteria for hypoactive sexual desire disorder in women. Archives of Sexual Behaviour, 39(2), 221-239.
  • Fabrizi, A., Rossi, V., Critelli, C., & Porpora, MG. (2019). “Disturbi da dolore sessuale femminile” in “Sessuologia Clinica. Diagnosi, Trattamento e Linee Guida internazionali” (Simonetti, C., Fabrizi, A., Rossi, R., Tripodi, F. a cura di). Franco Angeli, Milano
  • Graham, CA. (2010). The DSM diagnostic criteria for female sexual arousal disorder. Arch Sex Behav. 2010 Apr;39(2):240-55.
  • Kingsberg, S. A., Althof, S., Simon, J. A., Bradford, A., Bitzer, J., Carvalho, J., … Shifrin, J. L. (2017). Female Sexual Dysfunction-Medical and Psychological Treatments, Committee 14. Journal of Sexual Medicine14(12), 1463-1491.
  • McCabe, M., Sharlip, I., Atalla, E., Balon, R., Fisher, A., Laumann, E., Lee, S., Lewis, R., Segraves,R . (2016). Definitions of Sexual Dysfunctions in Women and Men: A Consensus Statement From the Fourth International Consultation on Sexual Medicine 2015. The Journal of Sexual Medicine. 13. 135-143.
  • Nimbi, FM., & Tripodi, F. (2019). “Le nuove classificazioni dei disturbi sessuali: DSM-5, ICSM 2015 e le proposte per l’ICD-11” in “Sessuologia Clinica. Diagnosi, Trattamento e Linee Guida internazionali” (Simonetti, C., Fabrizi, A., Rossi, R., Tripodi, F. a cura di). Franco Angeli, Milano
  • Parish, S., & Hahn, S. (2016). Hypoactive Sexual Desire Disorder: A Review of Epidemiology, Biopsychology, Diagnosis, and Treatment. Sexual Medicine Reviews. 4.
  • World Health Organization – WHO (2019). International Statistical Classification of diseases and related health problemsm 11th

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