“SEX ADDICTION”: EVIDENZE E CONSEGUENZE DI UN CONCETTO DIBATTUTO

“Sex addiction” è un termine coniato da Patrick Carnes negli anni ’80, all’interno del contesto della Fratellanza dei Dodici Passi degli alcolisti anonimi, in un’epoca in cui a una grande percentuale di giovani gay veniva diagnosticata la malattia del secolo. Il termine viene utilizzato per indicare lo sviluppo di una dipendenza dal piacere sessuale, dall’atto sessuale o da materiali a contenuto sessualmente esplicito (porn-addiction).

sex addiction

Il concetto di “sex-addiction” compare per la prima volta all’interno della terza edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-III), edita nel 1987, come descrittore specifico entro la più generale categoria dei Disturbi Sessuali Non Altrimenti Specificati (APA, 1987). Il termine indicava sofferenza rispetto a un pattern di ripetute relazioni sessuali che si caratterizzano per una successione di amanti esperiti dalla persona come meri oggetti d’uso. Negli anni ’90 e 2000 la percentuale di persone potenzialmente identificabili in letteratura come “sex-addicted” cresce esponenzialmente, verosimilmente in relazione alla maggiore velocità e facilità di accesso a contenuti sessualmente espliciti permessa dalla rete internet, e dai GPS nei cellulari che riducono le distanze e facilitano gli incontri sessuali (Weiss, 2012). In apparente paradosso, tuttavia, le successive edizioni del DSM mettono in discussione il concetto di “sex addiction” per “mancanza di evidenza scientifica” e di “consenso tra gli esperti”; ricomparso nei criteri proposti per la più recente quinta edizione (DSM-5) sotto il termine di “hypersexual disorder”, non viene accettato nell’edizione finale del manuale (APA, 2013).

Nonostante questo, sono numerose le associazioni e i professionisti che hanno formulato piani di trattamento e cura della dipendenza da sesso, suscitando reazioni contrastanti nella comunità scientifica. Uno dei più noti sostenitori della diagnosi è Rory Reid, che nel 2012 conduce uno studio volto a verificare l’applicabilità degli allora proposti criteri per il DSM-5, rilevando una accuratezza pari all’88% (Reid, 2012). Alla luce di questa evidenza si moltiplicano negli anni seguenti i modelli di trattamento che tracciano parallelismo con i percorsi di dipendenza dall’alcool. Una delle principali motivazioni a sostegno di questo parallelismo è l’idea che l’attività sessuale e la dipendenza da sostanze condividano lo stesso sistema di ricompensa (e quindi gli stessi fenomeni che ne derivano, ad es, il craving) entro il cervello umano (Kor et al, 2013).

Coloro che mettono in discussione la diagnosi proposta sottolineano invece le seguenti problematicità: la difficoltà di decretare quando un comportamento sessuale diviene “eccessivo”(ibid.); la mancanza di evidenza scientifica di pattern comuni alle dipendenze in coloro che rispecchiano i criteri proposti per l’ipersessualità (Prause et al, 2015); la confusione tra sintomi e cause (Wright, 2012); l’eccessiva percentuale di uomini che rispecchierebbero i criteri diagnostici, evidenziando una sproporzione di genere che suggerirebbe interpretazioni alternative (Blevins et al, 2016); la patologizzazione del comportamento omosessuale veicolata dall’ipotesi che “la sex addiction causi attrazione omosessuale non voluta”, alla luce di evidenze che testimoniano la virtuale impossibilità di discernere tra il comportamento abituale di buona parte dei maschi gay e quello considerato patologico dai criteri proposti per il disturbo (Barucco, 2016); i dati che sottolineano come l’auto-diagnosi di porn-addiction non si basi sulla quantità o sulla frequenza di materiale pornografico utilizzato ma dalla presenza di atteggiamenti verso la sessualità associati a valori morali e/o religiosi (Grubbs et al, 2014; Hook et al, 2015); le evidenze scientifiche positive associate alla sessualità (per una review, si veda: Blevins et al, 2016).

Sulla scia di queste ricerche, alcuni clinici mettono in evidenza alcune problematiche relative ai modelli di trattamento basati sul parallelismo con la dipendenza da sostanze, i cosiddetti “programmi dei 12-passi”:

  • l’enfasi posta sulla auto-diagnosi da parte della persona;
  • la possibilità che i trattamenti vengano somministrati da persone non professionalmente qualificate;
  • la possibilità che i trattamenti includano un “contratto di castità”;
  • la patologizzazione implicita veicolata rispetto a BDSM consensuale e/o relazionalità non monogama;
  • la mancanza di evidenze scientifiche di efficacia (Hook et al, 2015)

In alternativa a questo modello, alcuni ricercatori hanno proposto un concetto alternativo, che prende il nome di “out-of-control sexual behaviour” (“comportamento sessuale fuori controllo”) (Braun-Harvey & Vigorito, 2016). Basato su sei principi cardine della salute sessuale (consenso, protezione dalla malattia e dalla gravidanza indesiderata, onestà, valori condivisi, non-sfruttamento, piacere), il modello si propone come comprensivo e positivo (ovvero, non patologizzante) (ibid.).

Le posizioni più recenti in merito alla possibilità di mettere in atto comportamenti sessuali fuori controllo o forieri di sofferenza e disagio per la persona pongono l’enfasi sulla non patologizzazione; l’esperienza personale viene riconsiderata come livello primario di indagine, e declinata entro il contesto socio-culturale in cui avviene. In questo modo viene riconosciuto un ruolo anche alle norme pre-riflessive contestuali che possono giocare un ruolo importante nei sentimenti di inadeguatezza, patologia, devianza che riportano coloro che soffrono per il proprio comportamento sessuale. L’enfasi sull’esperienza in prima persona e la personalizzazione di ogni caso come unico consente l’indagine dei significati nel rispetto della storia individuale, e pone probabilmente di fronte a modelli più complessi del semplice meccanismo di ricompensa che viene associato alle dipendenze da sostanze. In un contesto clinico come quello della psicoterapia individuale, una simile cornice permette di andare al di là del dibattito nosografico-descrittivo per accogliere e comprendere l’esperienza del singolo e proporre, al di là di ogni criterio e di ogni etichetta, un percorso volto alla riduzione della sofferenza e all’apertura di possibilità d’azione identitarie e positive.

  • American Psychiatric Association. (1987). Diagnostic and statistical
    manual of mental disorders, 3rd ed., revised. Washington, DC: Author.
  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical
    manual of mental disorders, 5th ed.,. Washington, DC: Author.
  • Barucco, R. (2016, August 14). Sex addict or gay man? Huffington Post: The Blog. Retrieved from https://www.huffingtonpost.com/renato-barucco/sex-addict-or-gay-man_b_7989352.html
  • Blevins et al (2016). How The Concepts of “Sex Addiction” and “Porn Addiction” are Failing Clients. The Therapist, September/October 2016 issue. Retrieved from: https://www.natashaparker.org/How-Concepts-of-Sex-Addiction-and-Porn-Addiction-are-Failing-Clients-2.pdf
  • Braun-Harvey, D & Vigorito, M. (2016) Treating Out of Control Sexual Behavior. New York: Springer
  • Grubbs, J. B. & Perry, S. L. (2014) Moral Incongruence and Pornography Use: A Critical Review and Integration. The Journal of Sex Research.
  • Kor, A., Fogel, Y., Reid, R. C., & Potenza, M. N. (2013). Should Hypersexual Disorder be Classified as an Addiction?. Sexual addiction & compulsivity, 20(1-2), 10.1080/10720162.2013.768132.
  • Prause, N., Steele, V. R, Staley, C., Sabatinelli, D., Hajcak, G. (2015). “Modulation of late positive potentials by sexual images in problem users and controls inconsistent with “porn addiction””. Biological Psychology. Elsevier. 109: 192–199.
  • Reid RC, Carpenter BN, Hook JN, Garos S, Manning JC, Gilliland R, Fong T. Report of findings in a DSM-5 Field Trial for Hypersexual Disorder. Journal of Sexual Medicine. 2012;9(11):2868–2877.
  • Weiss, R. (2012). Sexual Addiction, Hypersexual Disorder and the DSM-5: Myth or Legitimate Diagnosis?. Counsellor, The Magazine for addiction professional.

 

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