UNO SPACCATO DEL CARICO DEI CAREGIVERS DELLE PERSONE CON DEMENZA: CONSIDERAZIONI SUI DATI DEL “WORLD ALZHEIMER REPORT 2019”
Nel 2019 la prevalenza mondiale della demenza è stimata a più di 50 milioni globalmente, un numero destinato a triplicare entro il 2050 (Alzheimer’s Disease International., 2019).

L’ Alzheimer’s Disease International (ADI) ha pubblicato a settembre 2019 il World “Alzheimer Report 2019 – Attitudes to dementia”, il risultato di una survey che ha coinvolto a livello mondiale 70.000 persone; il nostro paese in particolare risulta tra quelli che hanno registrato la maggiore partecipazione, a testimonianza dell’impatto della problematica in una società che vede l’aumento delle persone anziane e, di conseguenza, dell’incidenza della malattia (Alzheimer’s Disease International., 2019).
Tra i numerosi spunti di interesse forniti dal report, l’attenzione viene qui posta sui numeri forniti dai caregivers rispetto ai compiti di presa in carico connessi alla demenza. Il compito del caregiver è quello di “garantire la sicurezza, promuovere il miglioramento e il mantenimento della qualità di vita e della dignità della persona malata” (Gabelli & Gollin, 2006). Si tratta di un ruolo che si modifica nel tempo in base alla fasi della malattia e che spesso viene svolto da familiari della persona, con un coinvolgimento emotivo e personale crescente che ha ripercussioni su tutti i campi della vita della persona. I risultati del report confermano questa affermazione: nonostante più del 50% dei caregivers abbia espresso sentimenti positivi rispetto al proprio ruolo, spiccano tra i dati significativi i seguenti:
• 52% dei caregiver dichiara che la propria salute ha risentito della presa in cura;
• 49% dei caregivers dichiara che il proprio lavoro ha risentito della presa in cura;
• 62% dei caregivers dichiara che la propria vita sociale ha risentito della presa in cura;
• Più del 35% dei caregivers di tutto il mondo ha nascosto a qualcuno la diagnosi di demenza di un proprio familiare.
Esistono differenze di genere sia nella prevalenza dei caregivers (fino al 70% sono donne) sia nella tipologia di responsabilità connessa al ruolo, in parte legata ad aspetti di pressione sociale e stereotipi: il caregiver di genere femminile è più propenso a prendere in carico aspetti di cura e igiene personale della persona, mentre il caregiver di genere maschile si occupa più che altro degli aspetti logistici e burocratici. Il report evidenzia come la pressione sociale ha reso le persone di genere femminile caregivers “de facto”, obbligandole a ricoprire più ruoli di presa in cura (ad es, caregiver, moglie e madre) delineando le caratteristiche di quella “sandwich generation” a forte rischio di salute fisica e mentale (DeRIgne & Ferrante, 2012; Erol et al, 2015).
Il rischio fondamentale fronteggiato dal caregiver è quello di “esaurirsi” senza rendersene conto (burnout), con un duplice contraccolpo rispetto tanto alla propria qualità di vita quanto a quella del compito stesso di presa in cura. Sono note in letteratura l’incidenza e le conseguenze del fenomeno, che in concomitanza con i ritmi i vita della società odierna e l’assunzione di responsabilità su molteplici fronti cui siamo chiamati ogni giorno comportano serie conseguenze sulla salute e sulla pro-gettualità personali, con un’incidenza significativa di problematiche di salute mentale (Takai et al, 2009; Truzzi et al, 2012).
Alcune caratteristiche delle situazioni di burnout sono sovrapponibili a quelle di un vissuto depressivo e di un ripiegamento su di sè: questo, da un punto di vista fenomenologico, è legato all’effettiva chiusura di possibilità e di orizzonti che si verifica con una presa in carico totalizzante, che impedisce ogni altra apertura. La sintomatologia che un caregiver in burnout solitamente riferisce può essere così riassunta:
- ritiro sociale e familiare
- perdita di interesse in attività prima piacevoli
- sensazione di essere triste, senza speranza
- cambiamenti in peso e/o appetito
- cambiamenti nei ritmi del sonno
- frequenti malattie
- sensazione di stare facendo del male a sé o alla persona di cui ci si prende cura, o desiderio di farlo
- esaurimento fisico o emotivo
- uso eccessivo di alcool o medicinali ipnoinducenti
- irritabilità, rabbia immotivata
Che fare dunque per poter contrastare questo rischio? Ecco alcuni consigli pratici:
- Ascoltare i campanelli di allarme: la sintomatologia correlata allo stress psico-fisico del caregiving va riportata al medico curante che può intercettare bisogni di più difficile espressione e intervenire prima che intervenga una cronicità;
- Prendersi cura di sé: il tempo per sé è fondamentale e uno spazio personale va mantenuto pena lo sviluppo di un burnout che rende comunque impossibile il caregiving nel lungo periodo. Ritagliare spazio settimanale per un hobby, un momento di svago, o una breve vacanza, consente di fornire un’assistenza più puntuale e costante nel corso del tempo senza esaurire ogni energia residua, migliorando al contempo la qualità di vita. Questo spesso è in contrasto con i vissuti di colpa e vergogna che il caregiver prova nel momento in cui il dovere della cura è totalitario e fortemente identitario, con un corrispondente riconoscimento di sé nel ruolo che impedisce di distaccarsene anche solo temporaneamente;
- Imparare a delegare
- Affrontare i propri bisogni emotivi e la propria sofferenza: la demenza, e i compiti di caregiving ad essa correlati, comportano un carico emotivo importante e sono spesso causa di notevole sofferenza. Spesso la persona sviluppa un senso di colpa connesso ad eventuale emotività negativa rispetto alla persona malata o al doversene prendere cura, che compromette la possibilità di affrontarla e di risolverla prima che essa divenga ingravescente e pericolosa per la salute. Il caregiver deve essere guidato a riconoscere che l’ambiguità affettiva che si prova in una situazione stressante come la propria è giustificata e naturale;
- Non nascondere lo stress e il carico assistenziale, e chiedere aiuto e una equa suddivisione dei compiti dove possibile. Pianificare il carico assistenziale coinvolgendo tutta la famiglia è un modo di responsabilizzare il contesto. Lo stesso è possibile con i carichi economici.
Alzheimer’s Disease International. 2019. World Alzheimer Report 2019: Attitudes to dementia. London: Alzheimer’s Disease International.
Erol R, Brooker D, Peel E 2015. Women and Dementia: A global research review, London: Alzheimer’s Disease International.
DeRigne, L., Ferrante, S. 2012. ‘The sandwich generation: A review of the literature’ Fla Public Health Rev 9(1):12.
Takai M, Takahashi M, Iwamitsu Y, et al. The experience of burnout among home caregivers of patients with dementia: relations to depression and quality of life. Arch Gerontol Geriatr. 2009;49(1):e1–e5.
Truzzi, Annibal, Valente, Letice, Ulstein, Ingun, Engelhardt, Eliasz, Laks, Jerson, & Engedal, Knut. (2012). Burnout in familial caregivers of patients with dementia. Brazilian Journal of Psychiatry, 34(4), 405-412.