“STILL ALICE”? L’IMPATTO DELLA NARRATIVA “SEMPRE LO STESSO” SU FIGLI DI PERSONE CON YOUNG-ONSET DEMENTIA

Una delle principali narrative in merito alle persone con demenza, culturalmente assodata e rinforzata da famose produzioni cinematografiche, è quella dell’essere “sempre la stessa persona” (“still the same person”) nonostante la malattia. Uno studio del 2018 indaga l’impatto di questa narrativa culturale e familiare sui figli di persone con demenza che sviluppano la malattia precocemente, quando i loro caregivers sono ancora molto giovani.

Persone con demenza

16 dei 19 giovani partecipanti (dai 19 ai 31 anni) allo studio “The Perceptions and Experiences of Children and Young People Who Have a Parent with Dementia”, promosso dalla UK Alzheimer’s Society, hanno evidenziato la problematicità di tale narrativa. L’analisi fenomenologica dell’impatto della malattia sui giovani caregivers ha permesso una serie di considerazioni interessanti:

  • La malattia impatta sulle identità di coloro che ne soffrono, ma anche di coloro che accudiscono (la cui identità diventa quella di “carers” o “figli* della persona malata”); questo comporta modifiche di sé in termini di comportamento (ad es, maggiore distanza o cinismo), di progettualità, e di relazionalità. La maggior parte degli script oggi disponibili riguardano persone anziane che sviluppano demenza e mancano quindi modalità nelle quali i giovani caregivers possano ritrovarsi;
  • Alcune varianti di demenza (ad es: Demenza a Corpi di Lewy, Demenza Semantica, Demenza Fronto-temporale) mettono particolarmente alla prova la narrativa “still the same person” perché impattano sulle abilità di comunicare e sul controllo del comportamento, che sono due dei principali modi di identificazione e relazione con una persona;
  • La categorizzazione delle narrative viola l’unicità di ogni persona, ma è spesso uno strumento culturalmente utilizzato per co-percepirsi tramite l’appartenenza a una norma; la mancata percezione di appartenere a tale norma provoca sentimenti negativi di vergogna, incapacità personale, e giudizio sociale negativo;

In particolare, le esperienze dei partecipanti che hanno messo maggiormente in discussione la narrativa “still the same” sono:

  • Lutto per la persona “che era”: coloro che convivono con una persona con demenza sperimentano un lutto costante e continuo per la perdita quotidiana e progressiva di capacità relazionali e caratteristiche personali che comportano l’impossibilità di sovrapporre la persona attuale con quella “che era prima”;
  • Incapacità di riconoscere il figli*: il mancato riconoscimento di sé da parte del genitore comporta una netta contraddizione rispetto all’immagine genitoriale della cultura occidentale, che a sua volta vive della narrativa del “sempre mi* figli*”
  • I cambiamenti repentini di personalità del genitore inducono sensazioni di repulsione e odio nei figli, che provano vergogna e shock per come si sentono nei confronti di una persona che hanno amato e che li ha amati. Questo è particolarmente vero per la sospettosità e l’aggressività che alcuni pazienti manifestano nei confronti dei figli;
  • Impossibilità di comunicazione, che comporta l’impossibilità di risoluzione di conflitti passati (elemento chiave in molte condizioni croniche o terminali) e di conduzione del rapporto con “le stesse modalità di prima”;

La narrativa del “sempre lo stesso” veicola il messaggio che esista un “sé essenziale e immodificabile”, che resta sempre uguale nonostante le circostanze e diverse relazioni. Gli autori dello studio argomentano che, laddove l’essere umano è un essere in relazione (diremmo: “essere-con”), rinchiudere le persone con demenza e i loro caregivers in un’immagine immutabile “Pre-diagnosi” è irrealistico e limitante. Inoltre, rifiutare tale narrativa consentirebbe ai caregivers di proteggersi e di mantenere una immagine del proprio genitore che “non è” la persona rifiutante, aggressiva, denigrante che hanno di fronte ora.

Queste considerazioni si scontrano in parte, secondo Sikes e Hall, con le modalità di approccio person-centered ad oggi preponderanti nel Regno Unito (e non solo); tuttavia, al contempo, è necessario che tali approcci siano ponderati sulle reali esperienze delle persone che affrontano la malattia quotidianamente le quali esperiscono “anything but still” e nelle quali la narrativa “still the same” può portare a vergogna e malessere mentale. Queste considerazioni comportano la necessità di veicolare narrative differenti o prendere in considerazione la varianza delle stesse, senza dare per scontata l’aderenza di ogni traiettoria di vita, per definizione unica e irripetibile, ad esse. Per queste persone, veicolare una narrativa diversa non implica “non curarsi di” ma riflettere le esperienze proprie senza sperimentare una sensazione di non aderenza a una norma pre-riflessiva che comporta sensazioni di inadeguatezza personale e concorre ad aumentare il distress nei confronti del caregiving.

  • Sikes P. & Hall M. (2016) ‘It was then that I thought “whaat”? This is not my Dad’: The implications of the ‘still the same person’ narrative for children and young people who have a parent with dementia, Dementia, 10.1177/1471301216637204

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