BISESSUALITA’: COSA DEVE SAPERE IL TERAPEUTA E PERCHE’ E’ NECESSARIA UNA SPECIFICA PREPARAZIONE
All’interno del concetto di “bisessualità” troviamo, oggi, un ampio range di identità sessuali ed esperienze che si caratterizzano per l’attrazione romantica, affettiva e/o sessuale verso più di un genere (Richards & Barker, 2013). La letteratura evidenzia come le persone che rientrano in questo spettro soffrono di più problemi di salute rispetto alle persone eterosessuali, gay e lesbiche, sono a maggiore rischio di ansia, depressione e suicidio, e riportano più alti livelli di risposte negative da parte dei professionisti (Bostwick et al, 2010; Mereish et al, 2017; Taylor et al, 2019).

Pertanto, nonostante le persone bisessuali condividano un’ampia gamma di esperienze con le persone gay e lesbiche, esistono molti aspetti della loro esperienza che sono unici e peculiari e, alla luce del maggior rischio al quale sono esposte, giustificano la necessità di una specifica formazione e di una considerazione professionale che le riconosca nella loro unicità.
In linea generale, vi sono tre categorie di persone bisessuali che possono entrare in contatto con lo psicologo psicoterapeuta:
- quelle che presentano un problema che non ha nulla a che fare con il loro orientamento affettivo;
- quelle che affrontano problemi relativi alla percezione altrui del proprio orientamento affettivo;
- quelle che affrontano problemi o preoccupazioni connesse alla propria attrazione romantica/affettiva/sessuale nei confronti di più di un genere;
Indipendentemente dal motivo del consulto, il terapeuta deve essere a conoscenza del fatto che la storia della psicologia ha fortemente patologizzato qualsiasi orientamento affettivo non eterosessuale e che, tuttora, la visione generale della sessualità all’interno della disciplina psicologica è di tipo perlopiù binario (le persone sono o eterosessuali, o omosessuali). Questo implica una invisibilità delle persone bisessuali e uno stigma associato a questo orientamento affettivo come fase di indecisione, di passaggio, o scelta di comodo, con relativa associazione, per estensione, di concetti quali promiscuità e infedeltà (soprattutto nei confronti delle persone di genere femminile!). Questa stessa visione è presente anche all’interno della stessa comunità LG, costituendo quello che in letteratura è noto come “doppio stigma”, un’esperienza tipica delle persone bisessuali che affrontano discrminazione sia dalla popolazione eterosessuale sia da quella omosessuale. Questo comporta a sua volta un’esperienza di isolamento e solitudine delle persone bisessuali, e un’aumentata esperienza di Minority Stress che concorre a giustificare la maggior presenza di problematiche di salute, fisica e mentale, che si registra all’interno della popolazione bisessuale (Friedman et al, 2014). Inoltre, concorre alla ridotta percentuale di coming out che si registra nelle persone bisessuali che accedono a servizi di salute: questo, a sua volta, alimenta il circolo vizioso delle risposte erronee dei professionisti che non forniscono un’assistenza coerente con i bisogni e le esigenze specifiche dell’utenza in questione.
Per questi motivi diventa assolutamente fondamentale che il professionista della salute mentale sia formato rispetto ai rischi per la salute connessi al contesto nel quale vivono le persone bisessuali e si assicuri di mettere in atto una pratica professionale che sia bi-affermativa, evitando di riprodurre gli stereotipi della società allargata nei confronti della popolazione bisessuale e ribadendo con forza la legittimità di questo orientamento affettivo. Inoltre, particolarmente importante che, come per ogni altra identità LGBTQ+, il terapeuta non assuma aprioristicamente che l’orientamento affettivo del suo cliente abbia un ruolo nella creazione o nel mantenimento della sofferenza riportata: molto spesso, una persona bisessuale (così come gay, o lesbica) che chiede un consulto con un terapeuta riporta sofferenze che non hanno nulla a che vedere con il suo orientamento affettivo! Nondimeno, il terapeuta dovrà essere a conoscenza che muoversi all’interno del contesto eteronormativo occidentale può comportare, per una persona che si identifica come bisessuale, uno stress aggiuntivo che deve essere riconosciuto e, se necessario, affrontato, facendo leva sulle risorse personali e sulla resilienza individuale e sociale.
Nella pratica professionale, inoltre, mi capita di frequente di avere a che fare con i seguenti:
- intersezionalità: le norme di gruppo e la peculiare intersezione delle molteplici appartenenze identitarie della persona determinano il pattern unico e irripetibile delle esperienze personali, che concorrono a delineare il quadro di risorse e fattori di rischio soggettivi;
- coming out: in passato il coming out era considerato un passaggio fondamentale e obbligato nel percorso di sviluppo di una identità sessuale sana e matura. Ad oggi questo concetto è stato rivisto alla luce della diversa importanza che diverse culture associano all’identità sessuale e ai rischi che si presentano laddove non vi sia un contesto supportivo o inclusivo. Esistono in letteratura testimonianze che certificano la presenza di stress addizionale sia in caso di coming out che in caso di closeted experience. E’ fondamentale che il terapeuta valuti caso per caso, insieme al suo cliente, cosa è meglio fare nello specifico contesto socio-culturale e personale in quel dato momento di vita, per scegliere l’opzione più corretta per la salute della persona alla luce delle risorse, dei rischi, e delle esigenze soggettive;
- relazionalità: capita di frequente che la domanda venga portata avanti da coppie, soprattutto di lunga data, in cui uno dei due partner si identifica come bisessuale e l’altro no. E’ necessario avere competenze specifiche rispetto al lavoro con persone bisessuali in una relazione, al fine di poter offrire una consulenza affermativa, consapevole e orientata al benessere di entrambi i partner, per poter affrontare alcune tematiche comuni in questi casi come: paura di perdere la relazione, paura di tradimento, messa in discussione del proprio orientamento affettivo o della fedeltà del/la partner, accettazione o rifiuto, senso di colpa e rabbia per la sensazione di “essere stat* ingannat*”, ecc.
Quale che sia la domanda, l’esigenza, il dubbio o la sofferenza portata dalla persona, non bisogna mai dimenticare che essa è unica e irripetibile, e che la sua esperienza è valida e come tale va accolta e sostenuta. Una pratica affermativa, accogliente, non giudicante e fortemente contraria a stereotipo, pregiudizio, discriminazione è la base per poter lavorare con consapevolezza professionale con persone bisessuali. Questo atteggiamento va però associato a competenze specifiche e conoscenze professionali che permettono un lavoro efficace, oltre che un clima positivo.
- Bostwick WB, Boyd CJ, Hughes TL, McCabe SE. Dimensions of sexual orientation and the prevalence of mood and anxiety disorders in the United States. Am J Public Health 2010;100(3):468–75.
- Friedman, M. R., Dodge, B., Schick, V., Herbenick, D., Hubach, R., Bowling, J., … Reece, M. (2014). From bias to bisexual health disparities: attitudes toward bisexual men and women in the united states. LGBT health, 1(4), 309–318.
- Mereish EH, Katz-Wise SL, Woulfe J. (2017). Bisexual-Specific Minority Stressors, Psychological Distress, and Suicidality in Bisexual Individuals: the Mediating Role of Loneliness. Prev Sci. 2017 Aug;18(6):716-725.
- Richards, C. & Barker, M. (2013). Sexuality and Gender for Mental Health Professionals: A Practical Guide. London: Sage.
- Taylor, J., Power, J., Smith, E., Rathbone, M. (2019). Bisexual mental health: Findings from the ‘Who I Am’ study. Australian Journal of General Practice. Volume 48, Issue 3, March 2019